sabato 3 dicembre 2016

Qual è il Miglior Background per un CEO, Numeri o Vendite?

Innanzitutto, CEO si nasce o si diventa? Beh, credo si sia tutti d'accordo sul fatto che si diventi. Ovviamente, non considero il caso di rampolli fortunati che si trovano a governare aziende di famiglia con nessuna o pochissima esperienza alle spalle. Qui si parla di manager che hanno fatto un percorso lavorativo autenticamente formativo, insomma persone che hanno una carriera alle spalle. Quindi siamo d'accordo, CEO si diventa. E le caratteristiche personali? Quel certo talento "innato" che solo alcune persone hanno, quanto conta? Molto, anzi moltissimo. Resta il fatto, però, che per dirigere un'azienda è necessario maneggiare una "strumentazione" complessa e sofisticata che richiede studio ed esperienza e che non può essere compensata da un ispirato senso degli affari. E così siamo arrivati al punto: quali competenze sono necessarie? Di che esperienza stiamo parlando?  Che storia aziendale bisogna avere alle spalle? CEO lo può diventare chiunque lo meriti, tuttavia, statisticamente, le figure maggiormente destinate a ricoprire questo ruolo provengono dalla direzione commerciale e marketing o dalla direzione amministrativa e finanziaria. Jeffrey S. Sanders, Vice Presidente e Managing Partner di Heidrick & Struggles Nord America, nel 2011 ha condotto un'indagine sui CEO delle 500 società Fortune, dalla quale risulta che il 30% dei CEO ha alle spalle una carriera iniziata in ambito amministrativo e il 20% proviene dalle vendite e dal marketing. Quindi le conoscenze finanziarie sono fondamentali.
Tuttavia, solo il 5% è diventato CEO direttamente dal ruolo di CFO.  Più della metà dei CEO è stato promosso dal ruolo di COO (Chief Operating Officer) o da quello di President (il President non ha nulla a che vedere con l'equivalente tradotto in italiano, si tratta di un dirigente a capo di una divisione o business e riporta al CEO). Insomma, le grandi società premiano il background finance, ma solo se si è evoluto in chiave operativa. Certo che conciliare sviluppo e profitto non è la cosa più semplice. Potremmo dire, a grandi linee, che l'azionariato di un'azienda che tenda a conservare e preservare la situazione esistente preferirà affidarsi ad un CEO con una solida base amministrativa e l'azionariato di un'azienda che intende crescere e svilupparsi si affiderà ad un CEO con una più marcata preparazione commerciale. Molto si decide in base a cosa si è riusciti a costruire nell'azienda che deve scegliere il proprio CEO. Lo stesso studio già citato, ci dice che i tre quarti dei CEO sono scelti dall'interno delle aziende, quindi si tende a premiare la loro storia di successi raggiunti in seno all'organizzazione.  E il successo più facilmente identificabile è quello in ambito operativo, portato a compimento dal Chief Operating Officer (COO), dal Chief Commercial Officer (CCO) o dal Business Unit Director o President, che, magari, sono prima "cresciuti" in ambito amministrativo. Ricapitolando, il CEO "perfetto" ha iniziato la sua carriera in ambito amministrativo, ma NON è diventato CFO. E' stato successivamente promosso in una posizione operativa e lì ha dimostrato tutto il suo valore, per poi fare il grande salto. Giusto? Non proprio. Anne M. Mulcahy è stata la CEO di Xerox tra il 2001 e il 2009 portando l'azienda ad un grandioso recupero e ad un altrettanto straordinario rilancio. Nel 2008 è stata nominata CEO dell'anno dal Chief Executive Magazine. Sapete che lavoro aveva svolto sino a 20 anni prima? L'agente di commercio! Quindi vendite, altro che numeri.
La realtà è che la complessità della natura umana si riflette anche sulle nostre attività e sui ruoli che ci siamo inventati per governare le nostre cose. E tra questi ruoli, quello di CEO è certamente uno dei più complessi. Proviamo a disegnarlo insieme, partendo da come è fatto il nostro cervello.  La nostra parte sinistra è quella deputata al pensiero logico, razionale e analitico, insomma è la nostra parte CFO. E' una componente fondamentale, ci aiuta a stabilire se un'operazione è profittevole, se genera flussi di cassa e in che misura, circoscrive i problemi e cerca le soluzioni ad hoc per essi. Attraverso il nostro lato sinistro (CFO) siamo in grado di scomporre in passaggi i nostri business plan, quantificando il valore delle risorse necessarie per realizzarli e prevedendo i ritorni che è ragionevole attendersi. Ovviamente, questo è il lato che tende a non prendere rischi e ad attenersi ai dati esistenti, spingendo al minimo le proiezioni relative alla dimensione del "possibile". Ma noi stiamo progettando un CEO e, quindi, abbiamo bisogno anche di rischio e di "visione". Eccoci arrivati al lato destro del nostro cervello, quello dove risiedono immaginazione, creatività e intuito. Da qui si sviluppa l'intelligenza emotiva, la leadership di servizio, il problem solving, la comunicazione e la prospettiva di medio lungo termine. Un CEO che non sia dotato di creatività, senso del rischio e decision making è letteralmente un CEO a metà. Così come un CEO che difetti della sua parte sinistra, rappresenterebbe quasi certamente un disastro per gli stakeholders interni ed esterni. In azienda non esiste un ruolo nel quale ci si prepara per diventare CEO. Da qualunque area si parta, ci sarà sempre qualcosa da imparare. Quindi, numeri e vendite sono due componenti fondamentali del ruolo e non possono essere scisse. Un CEO ha certamente (?) educato sia la parte sinistra che la parte destra del suo cervello, perché è consapevole che il suo successo sarà anche il successo delle persone che lavorano ed interagiscono con l'azienda che dirige.

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