sabato 28 marzo 2015

....e poi ci sono le "Recommending Actions", ovvero quando il Consulente di Direzione ti dice: "Ascolta un cretino..."


Absit iniura verbis! Nessuno vuole offendere i consulenti, tanto meno quelli di direzione. Una cosa, però, richiede qualche approfondimento: cosa sono esattamente le recommending actions? Quando un consulente termina il proprio mandato, di norma presenta un report dove riassume cosa ha capito e appreso dell'azienda e descrive dettagliatamente cosa il cliente deve fare, appunto le recommending actions. Ci sono firms che dedicano una grande quantità di risorse nella stesura dei loro report, in quanto sono preoccupatissime che le analisi condotte e le conseguenti raccomandazioni siano convincenti e perfettamente connesse con la loro diagnosi iniziale. Molti ritengono che il compito del consulente, a questo punto, sia pienamente soddisfatto. Infatti, ha presentato un studio dettagliato con i passaggi da compiere per risolvere il problema diagnosticato. Insomma, il consulente raccomanda, il cliente decide se e quando implementare i consigli. Adesso, forse, è più chiaro cosa intendevo nel titolo. Il consulente, in questi casi, ricorda quei simpatici soggetti che ti guardano con aria di superiorità, come se tu non avessi mai capito nulla, quasi compatendoti, e ti danno "la dritta" guardandoti e dicendoti: "ascolta un cretino....". La tentazione è quella di dirgli che, proprio perché cretino, non hai voglia di dargli retta e che desse i suoi consigli a qualcun altro. Per un imprenditore o un manager una lista ordinata e ben presentata di "cose da fare" per risolvere quel determinato problema, non serve a nulla. Un report potrà essere convincente e spettacolare, ma non ha un impatto concreto sui problemi.La relazione professionale tra un consulente di direzione e il suo cliente non può esaurirsi in un pirotecnico power point. Nel Business Doctoring" non ci si può limitare a uno studio teorico del problema con conseguenti soluzioni anch'esse teoriche. Una soluzione teorica, per definizione, non può essere implementata. I consulenti escono da queste situazioni dando il torto al cliente che non ha saputo dare seguito ai loro infallibili consigli, magari per mancanza di coraggio o di abilità. Quante volte ho visto meravigliosi market survey & analysis ben in vista sullo scaffale del cliente, magari con qualche logo prestigiosissimo sulla costa. "Roba" che rimane lì, sullo scaffale per ricordargli che un bel soprammobile può costare molto meno. Il problema è che il danno d'immagine si estende a tutta la "categoria". Sì perché l'imprenditore o il manager si convincono che la consulenza non serve a nulla e che "sono tante chiacchiere, che non risolvono i problemi". Chi vende la propria professionalità in questo settore deve sempre tener presente che tutto ciò che sostiene a parole deve essere tramutatile in azioni concrete. Non è necessario che il consulente di direzione implementi personalmente le proprie raccomandazioni, è sufficiente che le trasformi in piani dettagliati e precisi d'implementazione. La soluzione non deve mai essere la soluzione ideale, ma la soluzione migliore per quel cliente, in quel momento e con le risorse di cui dispone. Non si deve mai ritenere chiuso il mandato se nella presentazione o nel report mancano gli action points: chi fa cosa, quando ed entro quanto tempo deve finire. Fidatevi di me, date ascolto a un cretino........

martedì 17 marzo 2015

Sai come si apre un uovo? Allora sei un problem identifier

L'ascolto è importante, si sa da sempre. Ma come detto nell'articolo "Ascoltare per comprendere il non detto, ovvero dare le informazioni che non ci sono richieste" l'ascolto deve sempre essere finalizzato. Quando si intervista un cliente, la quantità di notizie che ci arrivano vanno selezionate e catalogate per livelli di utilizzo, in relazione alla nostra attività. Se la nostra attività è quella di consulenti di direzione, quel che non dobbiamo perdere di vista (e di udito) è il problema che il cliente sta tentando di comunicarci. Perché dico "tentando"? Perché il cliente comunica per livelli di preoccupazione, che non sempre coincidono con le reali priorità. Raramente è lucido, per il semplice fatto che è coinvolto in prima persona. Ricordiamo sempre che la consulenza di direzione, come descritta nell'articolo "La consulenza è più che dare consigli", è un'attività di servizio per il top management e deve aiutare a risolvere un problema per sempre. Ma la questione dell'uovo che c'entra? Provate ad immaginare un uovo e a cosa dovete fare per aprirlo:
  1. Incrinate, delicatamente, il guscio a metà fino a romperlo
  2. Con i due mezzi gusci cercate di far cadere l'albume in un contenitore a parte
  3. Isolate il tuorlo cercando di pulirlo il più possibile dal "bianco".
Chiaro, no?
Incrinare, delicatamente, il guscio a metà fino a romperlo
Immaginiamoci di colloquiare con un cliente che cerchi di spiegarci quali siano le sue esigenze. Inizialmente, opporrà una comprensibile resistenza nei nostri confronti. Non sarà chiaro e cristallino. Anzi, probabilmente, tenderà a chiudersi e a non darci il quadro reale della situazione. Eccoci al punto 1, ossia al guscio dell'uovo. Cosa fare? Semplicemente seguire le istruzioni, ossia incrinare, delicatamente, il guscio, cioè le resistenze dell'imprenditore o manager, fino a romperlo. E' la parte più delicata del lavoro, ossia quella in cui forziamo l'interlocutore a fidarsi di noi e a condividere le sue preoccupazioni o le sue priorità. Intendiamoci, non sempre il manager o l'imprenditore si affidano ad un consulente sotto la spinta di uno stato ansioso (fortunatamente). Tuttavia, la resistenza a condividere l'entità del problema o le reali necessità è quasi sempre presente, anche solo per una naturale diffidenza a condividere notizie delicate e riservate. Ma noi siamo degli ottimi "rompitori di guscio" e superiamo l'iniziale difficoltà "calcarea". E adesso? Adesso siamo giunti al secondo punto, andiamo a vedere cosa ci aspetta.


Con i due mezzi gusci cercate di far cadere l'albume in un contenitore a parte

Grazie alle nostre capacità professionali, otteniamo la fiducia dell'imprenditore o del manager. Da questo momento, il rapporto di fiducia porta l'interlocutore a condividere molto di più di quanto ci servirebbe per inquadrare il problema. Gli argomenti cominciano ad intrecciarsi e al problema iniziale se ne sovrappongono altri di natura completamente differente. Tutto rischia di diventare importante e da un colloquio professionale si passa ad una conversazione allargata a tutte le problematiche aziendali, comprese quelle del passato.

Ovviamente, il bravo consulente di direzione/problem identifier non interrompe, asseconda e comprende. Ma il tema è che noi siamo stati chiamati per risolvere non per assistere. Ecco la fase 2 delle istruzioni: lentamente cerchiamo di isolare l'albume, ovvero i "falsi" problemi, dal tuorlo. Nel fare questa delicatissima operazione, proprio come si fa con un uovo, dobbiamo stare attenti a non perdere di vista il "tuorlo", ossia il vero problema. La metafora dell'uovo ci aiuta ancora di più, infatti spesso è possibile che il tuorlo si rompa e si mescoli all'albume. La stessa cosa può succedere in fase d'identificazione del problema centrale, si deve stare attenti che il "carico" di informazioni supplementari non contamini il cuore del problema. Attraverso passaggi successivi, si deve sempre più pulire il "tuorlo" problematico e renderlo totalmente libero da tutte le considerazioni accessorie che sono solo fuorvianti. Bene, adesso siamo arrivati al passaggio successivo.


Isolate il tuorlo cercando di pulirlo il più possibile dal "bianco"
Siamo arrivati alla parte finale. Finalmente, abbiamo il nostro "tuorlo" ben definito e isolato e possiamo lavorare solo su quello. Attenzione, non basta che ad aver identificato il cuore del problema sia solo il consulente, è fondamentale che si concordi con il cliente che quello è il tema da affrontare, che quello è il "rosso" dell'uovo. Solo così si è certi di poter affrontare la fase successiva, ovvero l'identificazione della soluzione. Da adesso si passa alla fase problem solving, ma questa è un'altra ricetta, volevo dire questione. Per quanti vogliano approfondire il tema del problem identifying, consiglio il seguente articolo: "Stop Thinking of Yourself as a Problem Solver".




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venerdì 13 marzo 2015

Ascoltare per comprendere il non detto, ovvero dare le informazioni che non ci sono richieste

Se saper ascoltare è una dote in generale nella vita, nel lavoro di un consulente è parte essenziale del suo successo. E quando dico ascoltare, intendo prestare orecchio e attenzione a quel che il cliente sta dicendo. Non basta assumere l’atteggiamento interessato con ritmati movimenti della testa e annuire. Intendo ascoltare sul serio, essere concentrati su ciò che il cliente comunica e annotarsi tutte le precisazioni e i chiarimenti che andremo a sottoporre al nostro interlocutore. Non solo, ma da ciò che il cliente sta esponendo si deve cogliere tutto il “non detto”. Tutti noi non sempre siamo disposti a raccontare quale sia il nostro vero problema, allora procediamo con descrizioni generiche che alludono, fanno capire, ma non esplicitano direttamente. Chi ascolta deve saper cogliere ciò che non è detto e farlo affiorare naturalmente. A questo punto inserisco una disruption che potrà “traumatizzare” qualcuno. Pensiamo alla professione del ginecologo o dell’andrologo. Stiamo parlando di professionisti che “esplorano” ambiti tutt’altro che consueti. Non solo, ma pensiamo ai pazienti, che di quegli ambiti sono i proprietari! Eppure, tra professionista e paziente si instaura una relazione costruttiva e positiva, che consente di superare qualsiasi imbarazzo in nome del bene più prezioso, la salute. Ma cosa porta il professionista a superare eventuali ritrosie e a mettere in atto, in tutta naturalezza, comportamenti normalmente “insoliti”. La familiarità e il distacco professionale; in quel momento l’obiettivo principale è di gran lunga più importante di tutte le possibili remore psicologiche. È la professione che si è scelto e si è consapevoli di assolvere ad un compito delicato, ma irrinunciabile.  Non solo, ma un tentennamento o una mal celata insicurezza farebbero saltare il delicato meccanismo che sta alla base del rapporto con il paziente.

Competenza, sicurezza e piena comprensione sono le basi della relazione paziente - professionista. E per quanto riguarda il paziente?  La cosa è più complessa. Sì perché, se il professionista acquisisce con il tempo l’equilibrio che deriva dalla routine, per il paziente le sensazioni possono essere sempre quelle della “prima volta”. Cosa interviene, allora, per far sì che il paziente trovi un suo equilibrio nella relazione: la fiducia. Il paziente si deve fidare, deve abbandonarsi con la certezza che a prendersi cura di lui è un professionista competente e preparato.  Così si chiarisce il concetto di ascolto e quello d’informazione.  Il professionista completa il quadro della situazione, aggiungendo a quanto ha ascoltato dal paziente quelle informazioni, richieste o non richieste, che definiscono la vera entità del problema. In altre parole, compensa il “non detto” del paziente con le informazioni che gli fornisce. Il paziente (d’ora in poi torna ad essere il cliente) si sente rassicurato dalla capacità del professionista di lavorare sugli indizi, in quanto sa perfettamente inquadrare il problema nel quadro più ampio di ciò che conosce e ha già visto. Esiste, quindi, un “livello d’intimità” irrinunciabile tra consulente di direzione e cliente. Ma, tutte le informazioni sono funzionali al rapporto? Un collega mi riferì, tempo fa, di aver proposto a più clienti un’indagine presso i loro sales manager sulla necessità della macchina aziendale anche per personale commerciale che non fosse operativo sul territorio. 


Non portò avanti nessun progetto, in quanto i general manager gli dissero che conoscevano già la risposta e che uno studio in tal senso sarebbe stato solo dispendioso e non avrebbe cambiato le idee dei sales manager. Dove ha sbagliato il collega? Semplice, ha compensato al 100% il “non detto” dei clienti. In realtà, imprenditori e manager non sempre sono disposti a sentire ciò di cui hanno davvero bisogno. Piuttosto, si aspettano buoni consigli che coincidano con quanto hanno già deciso di fare. Un consulente di direzione deve rinunciare alla tentazione di assecondare il cliente, pur di portare a casa l’incarico. Deve ascoltare, dare informazioni che completino il quadro della situazione e proporre una soluzione vincente. Se tutti i passaggi saranno compiuti in modo preciso e corretto, il successo è matematico. Consiglio per imprenditori e manager: diffidate da chi vi asseconda sempre e incondizionatamente. Abbiate il coraggio di lasciare l’ambulatorio, pardon, lo studio e cercate un altro professionista.
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giovedì 12 marzo 2015

Consulenza di Direzione, ovvero la strategia della Latrodectus Mactans


Di Giuseppe Andò


Innanzitutto, cos'è la Latrodectus Mactans? Come si potrebbe evincere dall'immagine, è un ragno. Sì, ma non un ragno qualsiasi: è la famigerata vedova nera. Immagino che tutti sappiate cosa combina questa signora ai maschietti della sua specie: dopo l’accoppiamento, spesso e volentieri, si mangia il partner come ringraziamento per la bella serata. Verrebbe da domandarsi perché i maschietti di questa specie si ostinino ad assolvere al loro compito, pur sapendo che la sorte che li aspetta è segnata ed è la peggiore possibile. La risposta è che il loro ruolo è imprescindibile e che per questo ruolo sono disposti a sacrificare la loro stessa vita. Tutto molto interessante, ma la consulenza di direzione che c’entra? C’entra eccome. Il maschio della vedova nera dedica tutto se stesso per una causa che, se l’esito è il successo (leggi l’accoppiamento), la sua ragione d’essere finisce. Non è forse lo stesso per il consulente di direzione? Quando si può dire di aver terminato il proprio compito all'interno di un’azienda? Quando il top management non ha più motivo di chiedere il supporto del consulente. Ecco il paradosso: più il consulente è bravo più distrugge le basi per il suo lavoro futuro. La vedova nera è il cliente. Quindi, il mio consiglio per le vedove nere, excusez-moi, per i clienti è il seguente: controllate sempre che il progetto che vi viene sottoposto abbia un orizzonte temporale certo (per quanto possibile) e obiettivi definiti e misurabili, altrimenti non diventerete mai “vedove nere”, ma vittime di qualche “parassita”. Di seguito trovate la piramide gerarchica degli obiettivi della consulenza di direzione, usatela per tessere la vostra ragnatela e “catturare” solo prede disposte a lavorare così bene da auto-eliminarsi. 

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La consulenza è più che dare consigli

Il titolo riprende un articolo del 1982 di Arthur N. Turner: “Consulting Is More Than Giving Advice – HBR”. Il riferimento è chiaro: è inutile che qualcuno (le aziende) paghi qualcun’altro (i consulenti) per farsi dare consigli spesso difficilmente implementabili. Quindi? Quindi, può essere utile ripartire dagli obiettivi che la consulenza deve porsi. Anzi, forse sarebbe ancora più interessante ridefinire cosa sia la consulenza. Intanto precisiamo che con la definizione “consulenza aziendale” non si indica nulla. Un commercialista, un lead auditor per certificazioni ISO e un rappresentante di prodotti di cancelleria si possono a buon diritto definire consulenti aziendali, pur facendo lavori completamente diversi. Qui parliamo di consulenza di direzione, ossia di quella consulenza che si occupa di aree quali:
  • Analisi della competitività
  • Strategia
  • Operations management
  • Risorse umane
  • Organizzazione.
Pur trattandosi di argomenti estremamente complessi e determinanti per il successo o per la semplice sopravvivenza dell’azienda, tutti si sentono intitolati ad occuparsene. La consulenza di direzione richiede un lungo tirocinio come top manager presso più di un’azienda e come consulente per diversi anni. È spiacevole dire che non basta essere ottimi manager, rimasti improvvisamente senza lavoro, per riciclarsi nella consulenza di direzione.  Allo stesso tempo, non è sufficiente aver lavorato per anni sempre e solo nella consulenza per conoscere le dinamiche aziendali più sottili e legate a diverse componenti, come quella politica, ad esempio. Le pressioni che derivano dalle gerarchie e dai rapporti storici interni alle aziende si comprendono solo se si sono vissute. Insomma, il Consulente di Direzione (maiuscolo) è un animale mitologico metà manager e metà consulente.
La definizione, p
erò, non è completa. Sì, perché qualcuno potrebbe dire che, per quanto bravissimo sia un consulente nel gestire le “cose” in generale, non può conoscere tutti i mercati, tutti i prodotti e tutti i servizi. Per rispondere alla più che giustificata obiezione, torniamo a quanto si diceva per la generica definizione di consulente aziendale; un commercialista, per quanto concerne le discipline fiscali, può tranquillamente seguire qualsiasi tipo di azienda. Lo stesso dicasi per il lead auditor e il rappresentante di cancelleria.  Ma che dire di un consulente di direzione? Come può essere d’aiuto in settori che, forse, non ha mai incontrato prima? Non solo, ma mentre in azienda può mancare un esperto in fiscalità o certificazioni ISO, si suppone che ci sia chi si occupa di strategia ed organizzazione. Quindi? Quindi si mette male. Mi sa che abbiamo sbagliato professione. O no? Cerchiamo di non perdere la calma e ripartiamo dalle obiezioni. Come fa un consulente a conoscere tutti i mercati? Semplice, non li conosce. Ricordiamoci che stiamo parlando di consulenza di direzione, non di consulenza commerciale.   E per quanto riguarda i prodotti? Come può conoscere tutti i prodotti? Semplice, ancora una volta, non li conosce. Deve conoscere i sistemi produttivi. E i servizi? Stesso discorso, deve avere competenza sulla gestione di aziende che propongono l’immateriale, non il singolo servizio. In altre parole, quando si cerca un direttore generale o un amministratore delegato, si può specificare “preferibilmente proveniente dal settore”, ma ciò che si cerca è una donna o un uomo che sappia gestire la complessità delle cose, sia nella loro manifestazione concreta, sia nella loro manifestazione simbolica dei numeri. Ed è per queste persone che il consulente di direzione lavora. L’errore è proporsi per problemi commerciali tipici del settore, per problemi di marketing operativo, per problemi tecnologici specifici. Questi sono ambiti per una consulenza diversa, di affiancamento al management interno. Il consulente di direzione è il consulente del top management. Ecco risolto il tema del consulente “tuttologo”.
Semplicemente, non esiste. Il consulente di direzione è uno specialista di alta direzione e deve avere tutte le competenze necessarie per poter svolgere quel tipo di consulenza. Deve maneggiare processi, dinamiche, numeri, strategie.  Deve essere una valida sponda per l’elaborazione di decisioni in situazioni complesse. Deve conoscere i criteri in base ai quali costruire un business plan, che è cosa tutt’altro che facile, con buona pace di tutti gli improvvisatori. Deve avere perfetta dimestichezza di tutte le dinamiche economiche e finanziarie. Deve avere una grande capacità analitica e una ancor più spiccata capacità di sintesi. Deve essere un direttore generale prestato ad altri direttori generali, con i quali deve parlare la stessa lingua. Chiarito il punto che i “tuttologi” non esistono, si torna al secondo interrogativo: ma in azienda non c’è già qualcuno che sappia fare quel lavoro? Se c’è già un direttore generale o un amministratore delegato operativo, a che serve pagare un consulente per fargli fare il loro lavoro?  
Risposta: non serve a nulla.
Tuttavia, un’azienda, per quanto modesta nelle dimensioni, ha sempre ritmi e pressioni superiori a quelli che può gestire. Conoscete qualcuno che non è sempre di fretta? Che non è sempre in ritardo? Che non è sempre indietro nelle decisioni, anche quelle urgenti? Che non dovrebbe iniziare quella determinata cosa, ma non ha mai il tempo? Che non ha mai il tempo per sviluppare quel progetto particolare? Provate ad immaginare che a dirvi tutto ciò sia il direttore generale di un’azienda, come giudichereste il futuro di quella stessa azienda? Se doveste scommettere dei soldi, li scommettereste su un’azienda il cui supremo boss dichiara di non riuscire a fare tutto? Magari aggiungendo che “per adesso” va bene così? Che fin quando il business tira, si va avanti e che agli eventuali problemi penseremo dopo? Ecco, dopo tanti interrogativi, la risposta alla seconda domanda: a che serve un consulente di direzione? Serve ad affiancare la direzione generale nella programmazione, organizzazione e gestione delle attività supplementari a quelle consuete. Sviluppo significa aumentare il proprio lavoro e la propria dedizione per la crescita, ma, se il quotidiano assorbe il 100% delle risorse della direzione generale, come facciamo? Ci affidiamo ad un consulente di direzione. E ricordiamoci sempre che: Consulting Is More Than Giving Advice!