Absit iniura verbis! Nessuno vuole offendere i consulenti, tanto meno quelli di direzione. Una cosa, però, richiede qualche approfondimento: cosa sono esattamente le recommending actions? Quando un consulente termina il proprio mandato, di norma presenta un report dove riassume cosa ha capito e appreso dell'azienda e descrive dettagliatamente cosa il cliente deve fare, appunto le recommending actions. Ci sono firms che dedicano una grande quantità di risorse nella stesura dei loro report, in quanto sono preoccupatissime che le analisi condotte e le conseguenti raccomandazioni siano convincenti e perfettamente connesse con la loro diagnosi iniziale. Molti ritengono che il compito del consulente, a questo punto, sia pienamente soddisfatto. Infatti, ha presentato un studio dettagliato con i passaggi da compiere per risolvere il problema diagnosticato. Insomma, il consulente raccomanda, il cliente decide se e quando implementare i consigli. Adesso, forse, è più chiaro cosa intendevo nel titolo. Il consulente, in questi casi, ricorda quei simpatici soggetti che ti guardano con aria di superiorità, come se tu non avessi mai capito nulla, quasi compatendoti, e ti danno "la dritta" guardandoti e dicendoti: "ascolta un cretino....". La tentazione è quella di dirgli che, proprio perché cretino, non hai voglia di dargli retta e che desse i suoi consigli a qualcun altro. Per un imprenditore o un manager una lista ordinata e ben presentata di "cose da fare" per risolvere quel determinato problema, non serve a nulla. Un report potrà essere convincente e spettacolare, ma non ha un impatto concreto sui problemi.La relazione professionale tra un consulente di direzione e il suo cliente non può esaurirsi in un pirotecnico power point. Nel Business Doctoring" non ci si può limitare a uno studio teorico del problema con conseguenti soluzioni anch'esse teoriche. Una soluzione teorica, per definizione, non può essere implementata. I consulenti escono da queste situazioni dando il torto al cliente che non ha saputo dare seguito ai loro infallibili consigli, magari per mancanza di coraggio o di abilità. Quante volte ho visto meravigliosi market survey & analysis ben in vista sullo scaffale del cliente, magari con qualche logo prestigiosissimo sulla costa. "Roba" che rimane lì, sullo scaffale per ricordargli che un bel soprammobile può costare molto meno. Il problema è che il danno d'immagine si estende a tutta la "categoria". Sì perché l'imprenditore o il manager si convincono che la consulenza non serve a nulla e che "sono tante chiacchiere, che non risolvono i problemi". Chi vende la propria professionalità in questo settore deve sempre tener presente che tutto ciò che sostiene a parole deve essere tramutatile in azioni concrete. Non è necessario che il consulente di direzione implementi personalmente le proprie raccomandazioni, è sufficiente che le trasformi in piani dettagliati e precisi d'implementazione. La soluzione non deve mai essere la soluzione ideale, ma la soluzione migliore per quel cliente, in quel momento e con le risorse di cui dispone. Non si deve mai ritenere chiuso il mandato se nella presentazione o nel report mancano gli action points: chi fa cosa, quando ed entro quanto tempo deve finire. Fidatevi di me, date ascolto a un cretino........
sabato 28 marzo 2015
martedì 17 marzo 2015
Sai come si apre un uovo? Allora sei un problem identifier
L'ascolto è importante, si sa da sempre. Ma come detto nell'articolo "Ascoltare per comprendere il non detto, ovvero dare le informazioni che non ci sono richieste" l'ascolto deve sempre essere finalizzato. Quando si intervista un cliente, la quantità di notizie che ci arrivano vanno selezionate e catalogate per livelli di utilizzo, in relazione alla nostra attività. Se la nostra attività è quella di consulenti di direzione, quel che non dobbiamo perdere di vista (e di udito) è il problema che il cliente sta tentando di comunicarci. Perché dico "tentando"? Perché il cliente comunica per livelli di preoccupazione, che non sempre coincidono con le reali priorità. Raramente è lucido, per il semplice fatto che è coinvolto in prima persona. Ricordiamo sempre che la consulenza di direzione, come descritta nell'articolo "La consulenza è più che dare consigli", è un'attività di servizio per il top management e deve aiutare a risolvere un problema per sempre. Ma la questione dell'uovo che c'entra? Provate ad immaginare un uovo e a cosa dovete fare per aprirlo:
- Incrinate, delicatamente, il guscio a metà fino a romperlo
- Con i due mezzi gusci cercate di far cadere l'albume in un contenitore a parte
- Isolate il tuorlo cercando di pulirlo il più possibile dal "bianco".
Incrinare, delicatamente, il guscio a metà fino a romperlo
Immaginiamoci di colloquiare con un cliente che cerchi di spiegarci quali siano le sue esigenze. Inizialmente, opporrà una comprensibile resistenza nei nostri confronti. Non sarà chiaro e cristallino. Anzi, probabilmente, tenderà a chiudersi e a non darci il quadro reale della situazione. Eccoci al punto 1, ossia al guscio dell'uovo. Cosa fare? Semplicemente seguire le istruzioni, ossia incrinare, delicatamente, il guscio, cioè le resistenze dell'imprenditore o manager, fino a romperlo. E' la parte più delicata del lavoro, ossia quella in cui forziamo l'interlocutore a fidarsi di noi e a condividere le sue preoccupazioni o le sue priorità. Intendiamoci, non sempre il manager o l'imprenditore si affidano ad un consulente sotto la spinta di uno stato ansioso (fortunatamente). Tuttavia, la resistenza a condividere l'entità del problema o le reali necessità è quasi sempre presente, anche solo per una naturale diffidenza a condividere notizie delicate e riservate. Ma noi siamo degli ottimi "rompitori di guscio" e superiamo l'iniziale difficoltà "calcarea". E adesso? Adesso siamo giunti al secondo punto, andiamo a vedere cosa ci aspetta.
Con i due mezzi gusci cercate di far cadere l'albume in un contenitore a parte
Grazie alle nostre capacità professionali, otteniamo la fiducia dell'imprenditore o del manager. Da questo momento, il rapporto di fiducia porta l'interlocutore a condividere molto di più di quanto ci servirebbe per inquadrare il problema. Gli argomenti cominciano ad intrecciarsi e al problema iniziale se ne sovrappongono altri di natura completamente differente. Tutto rischia di diventare importante e da un colloquio professionale si passa ad una conversazione allargata a tutte le problematiche aziendali, comprese quelle del passato.
Ovviamente, il bravo consulente di direzione/problem identifier non interrompe, asseconda e comprende. Ma il tema è che noi siamo stati chiamati per risolvere non per assistere. Ecco la fase 2 delle istruzioni: lentamente cerchiamo di isolare l'albume, ovvero i "falsi" problemi, dal tuorlo. Nel fare questa delicatissima operazione, proprio come si fa con un uovo, dobbiamo stare attenti a non perdere di vista il "tuorlo", ossia il vero problema. La metafora dell'uovo ci aiuta ancora di più, infatti spesso è possibile che il tuorlo si rompa e si mescoli all'albume. La stessa cosa può succedere in fase d'identificazione del problema centrale, si deve stare attenti che il "carico" di informazioni supplementari non contamini il cuore del problema. Attraverso passaggi successivi, si deve sempre più pulire il "tuorlo" problematico e renderlo totalmente libero da tutte le considerazioni accessorie che sono solo fuorvianti. Bene, adesso siamo arrivati al passaggio successivo.
Isolate il tuorlo cercando di pulirlo il più possibile dal "bianco"
Siamo arrivati alla parte finale. Finalmente, abbiamo il nostro "tuorlo" ben definito e isolato e possiamo lavorare solo su quello. Attenzione, non basta che ad aver identificato il cuore del problema sia solo il consulente, è fondamentale che si concordi con il cliente che quello è il tema da affrontare, che quello è il "rosso" dell'uovo. Solo così si è certi di poter affrontare la fase successiva, ovvero l'identificazione della soluzione. Da adesso si passa alla fase problem solving, ma questa è un'altra ricetta, volevo dire questione. Per quanti vogliano approfondire il tema del problem identifying, consiglio il seguente articolo: "Stop Thinking of Yourself as a Problem Solver".
venerdì 13 marzo 2015
Ascoltare per comprendere il non detto, ovvero dare le informazioni che non ci sono richieste
Se saper ascoltare è una dote in generale nella vita, nel
lavoro di un consulente è parte essenziale del suo successo. E quando dico
ascoltare, intendo prestare orecchio e attenzione a quel che il cliente sta
dicendo. Non basta assumere l’atteggiamento interessato con ritmati movimenti
della testa e annuire. Intendo ascoltare sul serio, essere concentrati su ciò
che il cliente comunica e annotarsi tutte le precisazioni e i chiarimenti che
andremo a sottoporre al nostro interlocutore. Non solo, ma da ciò che il
cliente sta esponendo si deve cogliere tutto il “non detto”. Tutti noi non sempre
siamo disposti a raccontare quale sia il nostro vero problema, allora
procediamo con descrizioni generiche che alludono, fanno capire, ma non
esplicitano direttamente. Chi ascolta deve saper cogliere ciò che non è detto e
farlo affiorare naturalmente. A questo punto inserisco una disruption che potrà “traumatizzare” qualcuno. Pensiamo alla professione
del ginecologo o dell’andrologo. Stiamo parlando di professionisti che “esplorano”
ambiti tutt’altro che consueti. Non solo, ma pensiamo ai pazienti, che di
quegli ambiti sono i proprietari! Eppure, tra professionista e paziente si
instaura una relazione costruttiva e positiva, che consente di superare
qualsiasi imbarazzo in nome del bene più prezioso, la salute. Ma cosa porta il
professionista a superare eventuali ritrosie e a mettere in atto, in tutta
naturalezza, comportamenti normalmente “insoliti”. La familiarità e il distacco
professionale; in quel momento l’obiettivo principale è di gran lunga più
importante di tutte le possibili remore psicologiche. È la professione che si è
scelto e si è consapevoli di assolvere ad un compito delicato, ma
irrinunciabile. Non solo, ma un
tentennamento o una mal celata insicurezza farebbero saltare il delicato
meccanismo che sta alla base del rapporto con il paziente.
Competenza, sicurezza
e piena comprensione sono le basi della relazione paziente - professionista. E per
quanto riguarda il paziente? La cosa è
più complessa. Sì perché, se il professionista acquisisce con il tempo l’equilibrio
che deriva dalla routine, per il
paziente le sensazioni possono essere sempre quelle della “prima volta”. Cosa interviene,
allora, per far sì che il paziente trovi un suo equilibrio nella relazione: la
fiducia. Il paziente si deve fidare, deve abbandonarsi con la certezza che a
prendersi cura di lui è un professionista competente e preparato. Così si chiarisce il concetto di ascolto e quello
d’informazione. Il professionista
completa il quadro della situazione, aggiungendo a quanto ha ascoltato dal
paziente quelle informazioni, richieste o non richieste, che definiscono la
vera entità del problema. In altre parole, compensa il “non detto” del paziente
con le informazioni che gli fornisce. Il paziente (d’ora in poi torna ad essere
il cliente) si sente rassicurato dalla capacità del professionista di lavorare
sugli indizi, in quanto sa perfettamente inquadrare il problema nel quadro più
ampio di ciò che conosce e ha già visto. Esiste, quindi, un “livello d’intimità”
irrinunciabile tra consulente di direzione e cliente. Ma, tutte le informazioni
sono funzionali al rapporto? Un collega mi riferì, tempo fa, di aver proposto a
più clienti un’indagine presso i loro sales manager sulla necessità della
macchina aziendale anche per personale commerciale che non fosse operativo sul
territorio.
Non portò avanti nessun progetto, in quanto i general manager gli
dissero che conoscevano già la risposta e che uno studio in tal senso sarebbe
stato solo dispendioso e non avrebbe cambiato le idee dei sales manager. Dove ha
sbagliato il collega? Semplice, ha compensato al 100% il “non detto” dei
clienti. In realtà, imprenditori e manager non sempre sono disposti a sentire ciò
di cui hanno davvero bisogno. Piuttosto, si aspettano buoni consigli che
coincidano con quanto hanno già deciso di fare. Un consulente di direzione deve
rinunciare alla tentazione di assecondare il cliente, pur di portare a casa l’incarico.
Deve ascoltare, dare informazioni che completino il quadro della situazione e
proporre una soluzione vincente. Se tutti i passaggi saranno compiuti in modo
preciso e corretto, il successo è matematico. Consiglio per imprenditori e
manager: diffidate da chi vi asseconda sempre e incondizionatamente. Abbiate il
coraggio di lasciare l’ambulatorio, pardon,
lo studio e cercate un altro professionista.
giovedì 12 marzo 2015
Consulenza di Direzione, ovvero la strategia della Latrodectus Mactans
Di Giuseppe Andò
Innanzitutto, cos'è la Latrodectus Mactans? Come si potrebbe
evincere dall'immagine, è un ragno. Sì, ma non un ragno qualsiasi: è la
famigerata vedova nera. Immagino che tutti sappiate cosa combina questa signora
ai maschietti della sua specie: dopo l’accoppiamento, spesso e volentieri, si
mangia il partner come ringraziamento per la bella serata. Verrebbe da
domandarsi perché i maschietti di questa specie si ostinino ad assolvere al
loro compito, pur sapendo che la sorte che li aspetta è segnata ed è la
peggiore possibile. La risposta è che il loro ruolo è imprescindibile e che per
questo ruolo sono disposti a sacrificare la loro stessa vita. Tutto molto
interessante, ma la consulenza di direzione che c’entra? C’entra eccome. Il
maschio della vedova nera dedica tutto se stesso per una causa che, se l’esito
è il successo (leggi l’accoppiamento), la sua ragione d’essere finisce. Non è forse
lo stesso per il consulente di direzione? Quando si può dire di aver terminato
il proprio compito all'interno di un’azienda? Quando il top management non ha
più motivo di chiedere il supporto del consulente. Ecco il paradosso: più il
consulente è bravo più distrugge le basi per il suo lavoro futuro. La vedova
nera è il cliente. Quindi, il mio consiglio per le vedove nere, excusez-moi, per i clienti è il
seguente: controllate sempre che il progetto che vi viene sottoposto abbia un
orizzonte temporale certo (per quanto possibile) e obiettivi definiti e
misurabili, altrimenti non diventerete mai “vedove nere”, ma vittime di qualche
“parassita”. Di seguito trovate la piramide gerarchica degli obiettivi della
consulenza di direzione, usatela per tessere la vostra ragnatela e “catturare”
solo prede disposte a lavorare così bene da auto-eliminarsi.
La consulenza è più che dare consigli
Il titolo
riprende un articolo del 1982 di Arthur N. Turner: “Consulting Is More Than
Giving Advice – HBR”. Il riferimento è chiaro: è inutile che qualcuno (le
aziende) paghi qualcun’altro (i consulenti) per farsi dare consigli spesso
difficilmente implementabili. Quindi? Quindi, può essere utile ripartire dagli
obiettivi che la consulenza deve porsi. Anzi, forse sarebbe ancora più
interessante ridefinire cosa sia la consulenza. Intanto precisiamo che con la
definizione “consulenza aziendale” non si indica nulla. Un commercialista, un
lead auditor per certificazioni ISO e un rappresentante di prodotti di
cancelleria si possono a buon diritto definire consulenti aziendali, pur
facendo lavori completamente
diversi. Qui parliamo di consulenza di direzione, ossia di quella consulenza
che si occupa di aree quali:
- Analisi della competitività
- Strategia
- Operations management
- Risorse umane
- Organizzazione.
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