domenica 18 giugno 2017

Il Co-Strategist come partner nel processo di sviluppo del pensiero.

Quando rileggo il titolo di questo articolo, mi torna in mente il film "Amici miei" e le famose superc..... di Ugo Tognazzi. Voglio rassicurare i miei pochi, ma buoni, lettori che non è così. Oltre ai mentor, ai coach, agli sponsor, esistono anche i "Thought Partners", ovvero professionisti che sanno come condurre metodologicamente un processo di pensiero a due, con l'intento di trarre dall'interlocutore il meglio dei suoi ragionamenti. Una sorta di maieutica post litteram. Cosa fa un thought partner? Vi sfida, o meglio, sfida il vostro modo di pensare, per cambiare i vostri paradigmi e i vostri presupposti. Ha le competenze e la formazione adeguata per interferire positivamente sui vostri modelli di pensiero e stimolare la vostra creatività. Il risultato di questo processo, ossia le idee che ne scaturiscono, è sempre completamente prodotto dal soggetto e mai dal thought partner. Chi scrive è co-strategist e "partner di pensiero", ossia  si propone ad imprenditori e manager come sponda per concepire e sviluppare nuovi modelli di business, business reshaping, change management, corporate culture change, ecc. Ciò di cui noi tutti abbiamo bisogno non è una semplice opinione, ma qualcuno che ci stimoli a divergere dai soliti percorsi di pensiero che seguiamo da sempre. Qualche volta mi fermo a pensare quanto sia stato fortunato (e un po' bravo) nella mia vita lavorativa. Sono riuscito giovanissimo a fare una carriera fulminante. Tuttavia, penso anche che se avessi avuto al mio fianco un co-strategist o un thought partner avrei certamente fatto molti meno errori e avrei imparato prima a liberare il mio pensiero creativo. Sì, perché trovare soluzioni innovative significa inventarle. La difficoltà consiste nel coordinare creatività e metodo, innovazione e praticabilità delle idee, visione e sequenza delle azioni utili alla sua implementazione. Per ottenere il massimo da un co-strategist è fondamentale la libertà e il senso di sicurezza. Non si tratta di un brainstroming (pratica verso la quale nutro più di una perplessità), ma più di qualcosa che assomiglia ad una jam session tra due musicisti.  Un'ultima precisazione. Il co-strategist è certamente uno strategist, mentre non è vero il contrario. La differenza la fa il prefisso "co" prima della parola strategist. E' quel prefisso che determina la peculiarità della funzione e ne sottolinea proprio il ruolo di partnership, ovvero di lavoro di co-pensiero strategico.

sabato 17 giugno 2017

Management Team: attenti a quei...4

Tipizzare la psicologia delle persone è un compito arduo e da specialisti e, soprattutto, non è il mio. Tuttavia, in vent'anni di esperienza professionale ho imparato a distinguere quattro tipologie di manager o, forse, sarebbe meglio dire quattro modalità distorte di approccio al proprio ruolo. Chi gestisce un Management Team ha spesso il compito ingrato di coordinare diverse personalità, che nutrono diverse aspettative e che (im)pongono se stessi con una modalità difficilmente conciliabile con le esigenze del gruppo di lavoro. La sfida consiste nell'orchestrare i diversi apporti attraverso una leadership chiara e decisa. Ma vediamole queste cinque modalità.
1. I narcisisti
Si tratta di manager che attribuiscono un senso smisurato d'importanza al loro ruolo. Sono certamente le persone più felici di far parte del Management Team e questo li esalta. Il problema è l'egocentrismo, che anestetizza completamente la loro capacità empatica. Sono persone che non si curano di ciò che sentono (e dicono) gli altri e concepiscono i Management Team meeting come un palcoscenico per se stessi. Ovviamente, si tratta di persone con una straordinaria ipersensibilità alle critiche.
2. I tipi passivi-aggressivi
Sono i manager dotati di una naturale rabbia verso il mondo. Spesso arrivano in ritardo alle riunioni. Hanno una forte avversione alle regole (quando riguardano loro), ma sono spietati con chi non le rispetta. Durante i Management Team meeting hanno un livello d'interazione discontinuo e condizionato dal loro personale interesse.
3. Gli irascibili cronici
Sono i manager perennemente sotto tensione, che accusano i loro collaboratori e colleghi di tutti i mali dell'azienda. Durante i Management Team meeting tendono ad urlare e non hanno uno spiccato auto controllo. Non è insolito che anche il linguaggio sia sguaiato e volgare. Sono convinti che sono tanto bravi nella misura in cui sono perennemente incazzati.
4. Le vittime
Sono i manager che si sentono sempre dalla parte sbagliata. Vivono costantemente offesi. Durante i Management Team meeting hanno l'aria di chi non ci crede più e sa che tanto le cose non cambiano. Propongono più problemi che soluzioni e soffrono il lavoro di squadra.

Bei tipetti, non c'è che dire! Ma come si possono gestire queste derive caratteriali? All'inizio parlavo di leadership chiara e decisa. Ora vorrei aggiungere qualche elemento ulteriore, facendomi aiutare dalla professoressa di psichiatria clinica Judith Orloff, docente presso l'UCLA (University of California, Los Angeles). Questa signora ha pubblicato un libro molto interessante, dal titolo "The Power of Surrender". Il volume è tutto dedicato all'importanza di sapersi arrendere. La nostra vita è completamente sopraffatta dalla resistenza che opponiamo alle cose e non riusciamo ad essere felici perché non ci "consegniamo" all'ineluttabile realtà. La morte, la vecchiaia. le relazioni con gli estranei, le offese, i dolori, sono tutte evenienze della vita alle quali conviene arrendersi per ritrovare la propria serenità interiore. Punti di vista. Tuttavia, non è questo il punto del libro che mi preme proporvi, quanto quello relativo alla gestione delle persone.  Torniamo al punto. Come gestire in un Management Team Meeting le quattro modalità sopra descritte? Arrendendosi. Sì, esatto arrendendosi. Ossia, non opponendo resistenza alle tipicità, ma portandole alle loro più "depravate conseguenze". Per uniformare i comportamenti del top management di un'azienda non conviene opporre un modello comportamentale concorrente e avverso, ma bisogna portare all'evidenza le aberrazioni di comportamenti contrari all'interesse dell'azienda. Non intendo dire che si debba essere passivi, anzi. Bisogna gestire sapientemente le conseguenze negative di certi comportamenti. Per esempio, se qualcuno ha l'abitudine di arrivare sempre in ritardo, invece di aspettarlo/a, iniziate la riunione senza problemi. Piuttosto, "pilotate" la riunione in modo tale che da subito si parli dei temi che stavano a cuore al ritardatario. Insomma, anche arrendersi ha i suoi vantaggi.