sabato 26 novembre 2016

Pinocchio top manager e il CLO (Chief Liar Officer)


Mentire è male! Sempre! ......O no? Attenersi strettamente e rigidamente all'effettiva realtà delle cose può rappresentare un limite, che possiamo superare attingendo all'infinita varietà dei mondi possibili, offertici dalla menzogna. Ovviamente, in questa sede non siamo interessati alle bugie ad uso personale o alle cosiddette bugie bianche. Qui si parla della menzogna come dote a corredo dell'armamentario del C-Level Manager. Diciamo subito che noi ci schieriamo dalla parte di chi non mente, ma la "gestione complessa" non è un'attività che può fare a meno di tutti gli strumenti di controllo. Non si può non citare la famosa frase tratta dal Principe di Machiavelli: "Governare è far credere". Un CEO non può sedersi ad un tavolo senza (pre) supporre che il suo interlocutore possa anche mentire, così come egli stesso dovrà tenere pronta la sua dotazione di bugie ad hoc da propinare alla controparte. Ma andiamo con ordine ed elenchiamo i punti chiave per un CLO.
  1. Mentire sempre per una ragione. Charles Ford nel suo Lies! Lies! Lies! dichiara: "Prisons are filled with bad liars", le prigioni sono piene di cattivi mentitori. Il cattivo mentitore è colui che mente sempre, anche quando non ne trae nessun vantaggio. La bugia, per avere un'efficacia effettiva, deve essere rigidamente circoscritta a quanto serve e non di più. E' chiaramente inutile mentire "alla grande", sempre meglio mentire poco, ma utilmente. Per capirci, se dichiariamo di poter o saper fare qualche cosa, che non sappiamo fare, siamo stupidi, oltre che bugiardi. La bugia deve portare un vantaggio, non un problema. 
  2. Preparare le basi della bugia.  Mentire improvvisando è folle, è da banali bugiardi, non da CLO. Le bugie vanno studiate e preparate. Anzi, vanno esercitate. Più si mente su uno stesso argomento e meglio si imparerà a mentire. Anche in questo caso l'esercizio porta alla perfezione. La nota psicologa Cynthia Cohen ha dimostrato che è più facile smascherare un bugiardo che mente per la prima volta, piuttosto che uno "esercitato" a mentire su un dato argomento.
  3. Conoscere bene la persona a cui si vuol mentire. I "grandi" mentitori sono persone dotate di talento, tanto quanto i grandi comunicatori. Entrano in empatia con il "target" e confezionano la bugia in modo adeguato a chi deve ascoltarla. Carolyn Saarny spiega che bisogna mentire mettendosi nella prospettiva di chi ascolta, conoscerne i gusti e gli interessi.
  4. Essere focalizzati. Chi mente non può distrarsi. John Yarbrough è un esperto in interrogatori della sezione omicidi di Los Angeles e spiega che quando vuole smascherare un bugiardo, lo accusa di essere tale e, se sta mentendo, il soggetto mostra subito incertezza nel difendere quanto ha dichiarato. Per mentire bisogna essere concentrati. Attenzione però, non bisogna credere alle proprie bugie, questo sarebbe psicologicamente deleterio e "tecnicamente" sbagliato. Bisogna accettare la sfida e restare vigili sulla gestione della bugia.
  5. Attenti ai segnali del vostro corpo. Chi mente (di norma) ha uno sguardo sfuggente, tende ad esprimersi con discorsi interrotti o poco filanti, si tocca il naso e palesa una certa irrequietudine. Quindi, massimo controllo del corpo e della postura.
  6. Alzare il livello della tensione ad arte. Se vi sembra che il vostro interlocutore stia maturando qualche sospetto su quanto dite (come dicono i miei figli, vi stia sgamando), dovete alzare la tensione. Dovete spostare il discorso su temi che mettano pressione sul vostro interlocutore e spostino la sua attenzione sul tema oggetto della tensione, accantonando l'idea di indagare più a fondo sulle vostre bugie. Un esempio classico è quello di "forzare la mano" sfidando polemicamente l'interlocutore su un tema oggetto della discussione, sul quale sapete di non aver mentito.
L'arte (?) della menzogna è complessa e accompagna l'uomo da millenni. Anzi, è una parte essenziale della nostra dimensione speculativa. Credete che stia esagerando? Tutt'altro. Marco Messner nel suo Metafisica della Menzogna ci spiega che l'indagine dialettica attorno alla realtà ultima delle cose, passa attraverso il presupposto implicito che il pensiero possa, attraverso i suoi "perché?", arrivare ad una conoscenza ultima e definitiva, cosa che è falsa. Per Messner, la filosofia è continua creazione del falso. Le grandi domande su Dio, Anima e Mondo partono dall'assunto che l'indagine porti, attraverso successivi approfondimenti, ad una realtà superiore, della quale è impossibile la dimostrazione. Insomma, il pensiero è una macchina che produce bugie. Chiudo proponendo una lettura di quest'articolo finalizzata ad un utilizzo difensivo dalla menzogna. Non mentite, fin dove potete. Mentire è faticoso, stressante e comporta un affaticamento mentale dato dalla dissonanza cognitiva, ossia dal conflitto interiore che ci generano idee contrastanti e contradditorie. Per tutti i C-level manager il consiglio è di prepararsi a mentire solo per riconoscere chi mente. Pinocchio non dovrà mai essere il CEO di nessuna azienda. 

mercoledì 2 novembre 2016

Il successo nelle trattative? Postura, Calma e Realismo

La negoziazione è un'arte che richiede più tecnica che creatività e ispirazione. Conosco tantissimi top manager che non si preparano mai prima di un meeting, perché ritengono che questo li influenzerebbe negativamente. Preferiscono arrivare alla riunione "carichi" della loro sicurezza e affrontare gli argomenti e gli umori che emergono in tempo reale. Come naturale conseguenza, hanno un approccio egocentrico e tendono a parlare più dell'interlocutore. Ritengono che guidare la riunione porti, necessariamente, ad un più sicuro successo. Ovviamente, questa teoria è del tutto fantasiosa e nasconde solo una concreta incapacità ad affrontare in modo razionale il confronto con altre persone. Nel corso di una riunione d'affari, chi ci osserva ci giudica dalla modalità con la quale ci presentiamo e ci comportiamo.  In una negoziazione, si comincia a "mappare" il tavolo appena ci si presenta e ci si siede. Gli sguardi si incrociano con affettata cortesia e si comincia ad inquadrare la "geopolitica" di chi "conta" e chi no. E' una mappatura superficiale, ma condiziona l'apertura dei lavori. Vediamo di capire quali sono i punti chiave del giudizio esteriore. Il primo è la postura. Melia Robinson ha definito la postura il trucco meno tecnologico e meno caro per rendersi la vita facile ("the least expensive, most low-tech life hack you'll find"). La nota psicologa Amy Cuddy, parlando della postura, l'ha definita un segnale di potere e, anche nei casi in cui non ci si senta a proprio agio, ostentare una postura di sicurezza stimola i livelli di testosterone e cortisolo nel cervello, a tutto vantaggio del successo nella trattativa. Movimenti incontrollati, scatti improvvisi, mutamenti frequenti della posizione trasmettono disagio e debolezza, quindi vulnerabilità. La postura deve trasmettere la nostra totale sicurezza ed il pieno controllo della situazione.
La nostra posizione deve rimanere la stessa per un tempo sufficiente a dare la netta sensazione che la nostra concentrazione è sugli argomenti e che le nostre energie non si stanno disperdendo. Ovviamente, non dobbiamo assumere comportamenti ridicoli e innaturali, ma "accompagnare" il nostro intervento e quello degli altri con movimenti misurati e controllati. Il secondo punto è mantenere sempre la calma. La riunione può avere andamenti sgraditi per diversi motivi, per esempio la controparte potrebbe mettere in discussione quanto da noi affermato, potrebbe decidere di imporre la propria posizione in modo sgarbato oppure il nostro partner potrebbe dire qualcosa di troppo, ecc.. La nostra reazione deve sempre essere pacata. Qualsiasi cosa accada, ci riguarda ma non ci tocca. L'interlocutore deve avere la netta sensazione che la chiusura dell'affare per noi è importante, ma non vitale. Per approfondire il punto consiglio la lettura del libro di Jill Geisler "Work Happy - What Great Bosses Know". Se non siete calmi di natura, potete imparare ad esserlo. Non ci credete? Provate ad immaginare la calma come un abito da lavoro che indossate ogni volta che "entrate" in ruolo e tutto vi sembrerà più naturale. Terzo punto, essere realistici. Quando si conduce una trattativa si devono avere ben chiari in mente i propri obiettivi e quelli della controparte. Come dicevo all'inizio, presentarsi in una riunione con il piglio di chi vuole stravincere è da perdenti. Comunicare l'idea che vogliamo tutto o niente ci rende ridicoli. Sì, perché, se fosse vero, non ci sarebbe bisogno della riunione. Basterebbe una telefonata per definire la questione a nostro vantaggio. La nostra controparte lo sa e ci studia per capire se siamo in grado di misurare il livello di ottenibilità delle nostre pretese. Se le nostre richieste sono palesemente irrealistiche, la nostra credibilità scende sotto zero e rischiamo di non ottenere neppure ciò che il nostro interlocutore era disposto a riconoscerci. Quando "failure is not an option", ossia quando non si può fallire, essere realistici è l'unica possibilità che abbiamo per portare a casa il nostro risultato. Essere ragionevoli (o almeno fingere molto bene d'esserlo) preoccupa l'avversario che non può più rifugiarsi nello "stallo". Ovviamente, quanto detto sin ora, in assenza di contenuti, non ha nessun senso. Curare l'apparenza nel corso di una negoziazione è solo l'espediente per influenzare il giudizio superficiale della controparte. Esiste poi tutto il capitolo su come si prepara una negoziazione sui temi specifici ed il loro relativo utilizzo, ma questa è un'altra storia.