martedì 19 maggio 2015

Cara mi vuoi sposare? Non so! Prima vorrei vedere la curva di Greiner

Romanticismo addio! Le ritualità d'altri tempi lasciano il campo a ben studiate strategie di medio lungo periodo. Le signore sanno bene che le promesse d'amore, una volta sfociate nella sacralità del matrimonio, danno vita a vere e proprie organizzazioni di individui. Ecco perché l'avveduta futura sposa pretende una verifica preventiva dell'esito prevedibile dell'incipiente unione. Ed ecco, soprattutto, perché chiede l'analisi della curva di Greiner, il metodo più utile per valutare quali momenti di crisi incontra un'organizzazione nelle sue fasi di crescita. La signora sì che se ne intende! In realtà, il modello di Greiner è pensato per le aziende, ma l'estensione analogica è tutt'altro che campata in aria. La famiglia è un'entità che, inizialmente, è sospinta dall'entusiasmo creativo dei "fondatori", ma che in seguito diviene una realtà complessa. Per esempio, arrivano i figli, con tutte le esigenze di coordinamento e allocazione di risorse. In seguito i figli crescono e i livelli di delega con loro. Insomma, l'analogia con l'azienda è evidente: ad ogni cambiamento corrisponde un livello di crisi organizzativa. I carichi di lavoro crescono in modo esponenziale e le persone non riescono più a gestire l'ordinata priorità dei loro compiti. Manager che prima erano efficienti e produttivi cominciano a non essere più in grado di gestire i loro compiti, che nel frattempo sono aumentati. Si cerca la crescita e quando arriva porta con sé l'inevitabile crisi. Vale la pena puntualizzare che non è la crescita in sé a portare la crisi, ma è la velocità con la quale la crescita si manifesta. Grazie all'articolo di Larry E. Greiner pubblicato dalla Harvard Business Review nel 1972 e aggiornato nel 1998 (Evolution and Revolution as Organizations Grow), oggi sappiamo descrivere tutte le fasi della crescita, inquadrandole in uno schema di punti d'attesa dei diversi momenti di crisi consequenziali. Prima di addentrarci sul tema "crescita - crisi", diamo uno sguardo al ciclo della crescita in generale.
Figura 1
Innanzitutto, quando si ha la crescita? Quando aumentiamo gli investimenti? Quando l'organizzazione cresce nel numero degli addetti? Quando aumenta il fatturato? Molti di noi sarebbero portati a scegliere quest'ultima ipotesi, ma forse è necessaria qualche riflessione. Non sempre l'aumento di fatturato è un segnale di crescita complessiva. Per esempio, se i profitti non crescono, l'azienda non è in grado di autofinanziarsi lo sviluppo attraverso nuovi investimenti. La sensazione è che lo stesso concetto di crescita non sia così banale. La crescita è l'effetto di più indicatori interconnessi, posti in posizione ciclica l'uno rispetto all'altro (figura 1). Convenzionalmente, partiremo dalla crescita finanziaria, come effetto dell'aumento del fatturato e del profitto. L'aumento di disponibilità finanziaria consente un incremento delle risorse, finalizzato alla crescita strategica degli asset. Ne consegue una crescita strutturale dell'azienda che, utilizzando le risorse aggiuntive, incrementa il livello di occupazione. L'ulteriore crescita è quella dell'organizzazione con una necessità di "direzione", ossia di razionalizzazione delle funzioni, attraverso una maggiore formalizzazione dei ruoli. La nuova "direzione" sviluppa nuovi prodotti e nuove alleanze strategiche, lavorando per migliori performance, dalle quali deriva la crescita del fatturato e dei profitti, e così via. Questa è la proiezione di una crescita non per fasi, ma per indicatori interconnessi.
Figura 2
In questo schema non compare la relazione tra crescita e crisi, che è invece rappresentata nel modello di Greiner ( figura 2). Quali sono gli assi entro i quali il modello si sviluppa? Il tempo (età dell'azienda) e la dimensione dell'organizzazione. Cosa s'intende per dimensione dell'organizzazione (Size of the Organization)? Molti hanno deciso che il numero dei dipendenti possa essere la risposta, altri pensano che la risposta sia il fatturato. La risposta ce la dà lo stesso Greiner: "A company's problems and solutions tend to change markedly as the number of its employees and sales volume increase". Quindi, la crescita è l'effetto combinato dell'aumento del fatturato e degli addetti. Non esiste una relazione causa-effetto (post hoc propter hoc), tanto che la consequenzialità può essere anche invertita. Un dato è certo, la crescita comporta una crisi. D'altra parte il concetto stesso di crisi è quello di un punto di svolta. In inglese se cercate sul dizionario la parola "crisis" troverete la definizione "turning point", in italiano potremmo utilizzare l'ancora più tranquillizzante termine "transizione". Non intendo annoiarvi elencando e spiegando le cinque fasi identificate da Greiner, tanto le potete perfettamente desumere dal grafico. Ciò che davvero conta è che manager e imprenditori comprendano l'importanza di questo strumento e la sua enorme potenzialità. Il modello di crescita di Greiner consente di pianificare la propria crescita, identificando la fase nella quale ci si trova al momento. Di seguito propongo alcuni passaggi che possono aiutare ad applicare il modello, adattandolo alle reali circostanze di business:
  1. Cercate di capire in che fase si trova la vostra organizzazione.
  2. Domandatevi se la vostra organizzazione sta lasciando un periodo di stabilità per avvicinarsi a un periodo di "crisi", ovvero di transizione. Eccovi alcuni "indizi":
    • Le persone sentono che le indicazioni del management e le procedure aziendali rispecchiano esattamente il lavoro che routinariamente viene già svolto.
    • Le persone non si sentono sufficientemente premiate in relazione all'impegno profuso.
    • Le  persone sono insoddisfatte e il turnover del personale è più alto del normale.
  3. Domandatevi cosa significherà per voi e per il vostro team la transizione. Forse dovrete:
    • Delegare di più?
    • Prendere più responsabilità?
    • Specializzarvi in uno specifico prodotto o mercato?
    • Cambiare il modo in cui comunicate?
    • Incentivare e premiare il vostro team con modalità diverse?
  4. Pianificate una serie di azioni che rendano la fase di "crisi" o transizione il più possibile indolore.
  5. Ripetete l'esercizio con cadenza annuale, chiedendovi sempre a che punto siete del modello e quanto distanti dal prossimo punto di transizione o "crisi".
Il modello di Greiner è semplice, ma estremamente efficace. Non solo, ma permette di salvare le aziende dai passaggi critici e, se applicato correttamente....può salvare anche qualche matrimonio.

venerdì 8 maggio 2015

Il vecchio Shumpy aveva capito tutto!

Chi è Shumpy? Shumpy, pardon, Joseph Schumpeter è un economista austriaco noto per aver messo in stretta connessione i cambiamenti tecnologici con i cambiamenti industriali. In pratica, attorno alla fine degli anni "30 del secolo scorso, aveva teorizzato che i cicli economici fossero il risultato dei cambiamenti innovativi. Inoltre, riteneva che prodotti o servizi rivoluzionari fossero gli elementi ispiratori della crescita nel medio lungo periodo, ma nel breve distruggevano le istituzioni e le organizzazioni esistenti. Tutto ciò era quello che lui chiamava la "creatività distruttiva". Molto interessante, e a noi che ce ne ......? Non siate scortesi! Questa breve introduzione serve a presentare il macro-economista Shumpeter, ma a noi interessa il suo risvolto aziendale, così attuale da indurci a rinominare l'autore con un più friendly Shumpy. Shumpy ha diviso in tre fasi il processo di cambiamento tecnologico:

  1. Invenzione
    Fase nella quale vengono concepite le nuove idee.
  2. Innovazione
    Fase nella quale le nuove idee si sviluppano e diventano beni o servizi vendibili.
  3. Diffusione
    Fase nella quale i nuovi prodotti o processi si diffondono sul mercato potenziale.
Shumpy aveva perfettamente compreso che l'innovazione non è un fenomeno di prodotto, ma investe l'intera cultura della produzione. Facciamoci qualche domanda pratica: il navigatore satellitare in auto è stata una novità o un'innovazione? Un nuovo prodotto, in quanto nuovo, è sempre innovativo? Un'innovazione è sempre identificabile con un nuovo prodotto? La (nuova) tecnologia è sempre innovativa? Le domande potrebbero essere mille, ma a noi interessa solo una cosa: in azienda tutto questo cosa significa? Significa che tutto ciò che abitualmente identifichiamo con la parola "innovazione" è molto più di un'idea. Il successo di un nuovo sistema produttivo, con un alto tasso di innovazione tecnologica, deve necessariamente coprire l'intero processo di Shumpy (Invenzione, Innovazione e Distribuzione).
La penetrazione del mercato e il successo commerciale devono essere il naturale risultato di questo processo. Se l'utilizzo di satelliti per la geo-localizzazione non avesse avuto riscontri economici non ci sarebbe stato lo sviluppo industriale del settore, con il conseguentemente sviluppo di innovativi processi produttivi. L'innovazione in campo economico è efficace se diventa un fenomeno culturale che cambia il modo di pensare ed agire. Questo spiega perché in alcune aziende il cambiamento fallisce: perché non c'è un contemporaneo processo di Invenzione, Innovazione e Distribuzione di una nuova cultura. Una "cosa" nuova non cambia i riferimenti culturali produttivi ed organizzativi, una "cosa" innovativa sì. Shumpy aveva compreso che l'introduzione di nuovi prodotti richiede l'innovazione dei processi, che, a sua volta, richiede l'innovazione dei metodi e delle pratiche manageriali. In questo senso l'impostazione di Shumpy è ancora attualissima. La sua "creatività distruttiva", oltre che interessare le istituzioni e le infrastrutture sociali, ha un primo e fondamentale impatto sull'organizzazione aziendale. In realtà, Shumpy si concentrò sullo studio dei cicli del business più che sull'innovazione organizzativa in se stessa. Ma la lezione vale comunque. Dammi il cinque (anzi il tre), Shumpy! 

mercoledì 6 maggio 2015

E' un leader: mettetegli la camicia di forza!

Vorrei introdurre il tema sulla leadership partendo dallo studio del dr. Nassir Ghaemi. Immagino che a molti sia sconosciuto, eppure questo signore sta riscrivendo il concetto di leadership. Il dr. Nassir gestisce il programma sui disturbi dell'umore al Tufts Medical Center di Boston e nel 2011 ha pubblicato il libro: "First Rate Madness: Uncovering the Links Between Leadership and Mental Ilness. Lo studio è molto interessante e porta casi estremamente significativi trattando di personaggi quali Lincoln, Churchill, Gandhi, Martin Luther King Jr. e JFK. Insomma, un vero leader ha seri problemi mentali. Anzi, l'ordine logico va modificato. Solo chi ha seri disturbi mentali può essere un vero leader. Ovviamente, non tutte le persone affette da disturbi mentali sono leader. Questo ricordiamocelo quando andiamo a votare. Tornando a noi, cosa caratterizza un leader? E' un visionario. E' una persona che crea un modello di futuro possibile. Non solo, rende il suo modello un elemento di motivazione e ispirazione per altre persone che si sentono coinvolte e impegnate per realizzarlo. Il leader è un folle che spende tempo ed energie per assistere e formare il suo team in vista di un obiettivo affascinante e coinvolgente, ma tutt'altro che certo e sicuro. Non tutti i leader hanno le stesse "visioni", ci sono leader sportivi, leader politici, leader religiosi, leader culturali e leader aziendali. Noi ci occupiamo di questi ultimi. Chiariamo subito che "visionario" non significa "sognatore". La follia di un leader aziendale è lucida e realistica. E' la proiezione di una meta lontana, ma con la scansione precisa delle priorità per raggiungerla e la corretta indicazione della direzione da seguire.
Un leader aziendale è concentrato sui punti di forza della sua organizzazione e utilizza strumenti razionali come "Le cinque forze di Porter". la PEST Analysis, l'USP (Unique Selling Proposition) Analysis, la Core Competence Analysis, la SWOT Analysis, ecc. Insomma, un leader è un folle, non un improvvisatore! E' un problem solver proattivo e rivolto al futuro ed è questo che lo evidenzia e lo stacca dalla massa. E' un ispiratore, un comunicatore che sa convincere con la forza delle motivazioni. Per fare tutto questo utilizza la Teoria dell'Aspettativa:
  1. L'aspettativa che il duro lavoro porta a ottimi risultati;
  2. L'aspettativa che gli ottimi risultati comportano premi e incentivi.
Ma perché un leader è credibile? Perché le persone gli riconoscono il potere della conoscenza e dell'esperienza. Un leader ha chiaro in mente l'obiettivo da raggiungere ed è in grado di misurare i  risultati parziali raggiunti dal suo team. Come? Con metodi come il Performance Management e i KPIs (Key Performance Indicators). Non perdiamo di vista ciò che abbiamo detto all'inizio, il leader è una persona disturbata. E' qualcuno che non ha un buon rapporto con la routine, anzi, ha sempre bisogno di sentirsi al centro di una sfida. Ma non è un vincitore solitario, è naturalmente portato al gioco di squadra. Vuole sentirsi "dentro" le cose che succedono e non vuole sentirsi escluso. Un esempio di approccio perfetto per un leader è il Management By Wandering Around (MBWA) una pratica non più nuovissima, ma efficacissima. Tutto qui? Niente affatto, un leader sa che la sua squadra necessita di costante supporto e formazione.
Lo sviluppo personale e quello del team sono passaggi irrinunciabili per un leader. Il suo prepotente narcisismo non è mai solo autocompiacimento, ma un mezzo per sedurre i suoi compagni di viaggio e per trasmettere contenuti e modalità operative. Esistono dei modelli che supportano i leader in questo compito, tra questi citiamo i Belbin's Team Roles e la Teoria di Bruce Tuckman (Forming, Storming, Norming and Performing). Un leader, un vero leader, tra i tanti disturbi mentali ha anche una perversa propensione al perfezionismo. E' un attento sollecitatore di feedback, per avere sempre la certezza che tutti stiano operando nella giusta direzione. Insomma, credo che ormai sia chiaro che con il termine "leader" troppo spesso si siano identificati dei modesti "capi", ma non degli autentici leader. Non è un caso che la "normalità" non rappresenti una dote da leader. A questo punto è legittimo domandarsi: leader si nasce o si diventa? La risposta è.......scusate, ma non ho più tempo, mi stanno riportando in manicomio!