sabato 17 dicembre 2016

La relazione dialettica in azienda tra il CEO e il CFO

Business e numeri, un tema già affrontato in un altro articolo di questo blog ("Qual è il miglior background per un CEO, numeri o vendite?"), ma che qui vorrei riproporre da una diversa prospettiva. Come si conciliano "crescita" e "profitto"? E, soprattutto, chi detiene le leve che determinano le priorità in azienda? L'assunto in questo articolo è che la differenza tra management e proprietà sia chiaro ed inequivocabile o che, quanto meno, la proprietà abbia una "naturale" tendenza a distinguere il ruolo in cui indossa il cappello del manager da quello in cui indossa quello del proprietario. Questa precisazione è fondamentale, perché se i ruoli non sono "tecnicamente" distinti, ogni decisione presa dal "padrone" è buona, anche se porta al fallimento l'azienda. Ma torniamo a bomba, si diceva, chi determina in azienda quando la crescita sta penalizzando troppo i profitti e quando, invece, una dilazione dei profitti è strategica per lo sviluppo? Normalmente, sono decisioni che si prendono in fase di pianificazione e la proprietà le sposa da subito o le rigetta, in base alle proprie considerazioni sulla redditività attesa. Ma, aziendalmente parlando, chi "governa" la gestione manageriale del tutto? Il CEO, naturalmente! Ossia colui o colei che ha ricevuto il mandato dal CdA per rendere effettiva la strategia nel corso dei 3/5 anni che ci si è dati per realizzarla. Ok, ma chi controlla che il CEO non si faccia entusiasmare troppo dalla progettualità e dalla prospettiva di medio termine, a scapito dei profitti da realizzare progressivamente? Il CFO, naturalmente! Sì, ma il CFO riporta al CEO e, quindi, può esprimere solo un parere fondamentale, ma non vincolante. L'alternativa è quella che il CFO riporti direttamente al CdA, ma in questo caso il CEO sarebbe una sorta di Medardo (Il Visconte Dimezzato).
Devo dire che negli anni ho visto molti CFO non prendere le giuste decisioni perchè completamente assoggettati al CEO. In qualche caso addirittura assecondando decisioni al limite della legalità. Ho anche visto, però, CFO riportare direttamente al CdA (o al loro capo europeo nel caso di multinazionali) ridotti a un mero organismo di controllo, che, a quel punto, sarebbe stato opportuno scollegare dagli obiettivi commerciali dell'azienda. Non è un affare semplice, soprattutto se si insiste nel vedere le due figure in contrapposizione di interessi che non possono, invece, che essere complementari. Personalmente, credo nella più ampia delega ai manager, quindi anche al CFO. Ma, mentre un direttore commerciale o un direttore marketing hanno un'indipendenza operativa che permette loro di prendere decisioni in tempo reale per il bene del business, il CFO ha una autonomia molto ridotta, in quanto "maneggia" numeri che "altri" producono. In altre parole, è messo di fronte all'evidenza dei fatti e agisce sempre di "rimessa". E' pur vero che le aziende più organizzate hanno procedure che permettono al CFO (spesso solo a valle)  di intervenire per inibire iniziative che penalizzino eccessivamente il conto economico (sconti, ecc.) o il patrimonio (dilazioni di pagamento, ecc.), ma è anche vero che questo ruolo spesso ingenera conflitti in azienda difficilmente sanabili. Bisogna ricordare che la motivazione di un commerciale (anche in termini di bonus e incentivi) è, di norma, diametralmente opposta a quella del CFO. E' vero che tutti sono misurati sui profitti, ma con percentuali diverse. Ma il CEO in tutto questo cosa può fare? Cominciamo col dire che i giorni in cui il CFO era solo un macinatore di numeri sono lontani e finiti. E di questo il CEO ne deve tener conto. Tutte le attività commerciali devono essere valutate da subito insieme al CFO. Così come tutte le valutazioni in merito a profitti e patrimonio devono essere valutate da subito con il commerciale. Ecco il vero ruolo del CEO: incoraggiare e guidare la relazione dialettica tra se stesso e il CFO e tra le altre funzioni/divisioni aziendali e il CFO. Il CFO deve mantenere la sua autonomia di giudizio, ma deve conoscere la direzione strategica e di crescita dell'azienda. Per fare questo deve crescere e capire le dinamiche di sviluppo del business, per non limitarsi a conoscerle "solo" attraverso i numeri.
E questa attività è in mano al CEO, il quale deve arricchire la professionalità del CFO con la conoscenza della concorrenza, dei clienti, del contesto economico, ecc. Ovviamente, la stessa missione educatrice deve essere rivolta al commerciale e al marketing perché maneggino con padronanza tutte le tecniche di misurazione del payback della loro attività. Dialettica, dunque, tra chi gestisce la crescita e chi il profitto, pur partendo da posizioni antitetiche, ma con l'obiettivo comune e dichiarato di trovare la giusta sintesi di compromesso che sia difendibile sia sul fronte della crescita della quota di mercato, sia sul fronte della crescita o salvaguardia dei profitti. Resta inteso che il CFO è, a mio avviso, il braccio destro del CEO. Senza la bussola dei numeri ci si muove a caso, con quel che ne consegue. Ma è pur vero che se non si è chiari su chi governa la nave, magari creando "ruoletti" di controllo non ufficiale, si fa saltare in aria la "baracca". Come dice Mike Conform, CEO e CFO devono essere un duo dinamico e non "la strana coppia" e chiude dicendo: "There's often a difference between what you want to hear versus what you need to hear" (Spesso c'è differenza tra ciò che vuoi sentirti dire e ciò che hai bisogno che ti si dica).

sabato 3 dicembre 2016

Qual è il Miglior Background per un CEO, Numeri o Vendite?

Innanzitutto, CEO si nasce o si diventa? Beh, credo si sia tutti d'accordo sul fatto che si diventi. Ovviamente, non considero il caso di rampolli fortunati che si trovano a governare aziende di famiglia con nessuna o pochissima esperienza alle spalle. Qui si parla di manager che hanno fatto un percorso lavorativo autenticamente formativo, insomma persone che hanno una carriera alle spalle. Quindi siamo d'accordo, CEO si diventa. E le caratteristiche personali? Quel certo talento "innato" che solo alcune persone hanno, quanto conta? Molto, anzi moltissimo. Resta il fatto, però, che per dirigere un'azienda è necessario maneggiare una "strumentazione" complessa e sofisticata che richiede studio ed esperienza e che non può essere compensata da un ispirato senso degli affari. E così siamo arrivati al punto: quali competenze sono necessarie? Di che esperienza stiamo parlando?  Che storia aziendale bisogna avere alle spalle? CEO lo può diventare chiunque lo meriti, tuttavia, statisticamente, le figure maggiormente destinate a ricoprire questo ruolo provengono dalla direzione commerciale e marketing o dalla direzione amministrativa e finanziaria. Jeffrey S. Sanders, Vice Presidente e Managing Partner di Heidrick & Struggles Nord America, nel 2011 ha condotto un'indagine sui CEO delle 500 società Fortune, dalla quale risulta che il 30% dei CEO ha alle spalle una carriera iniziata in ambito amministrativo e il 20% proviene dalle vendite e dal marketing. Quindi le conoscenze finanziarie sono fondamentali.
Tuttavia, solo il 5% è diventato CEO direttamente dal ruolo di CFO.  Più della metà dei CEO è stato promosso dal ruolo di COO (Chief Operating Officer) o da quello di President (il President non ha nulla a che vedere con l'equivalente tradotto in italiano, si tratta di un dirigente a capo di una divisione o business e riporta al CEO). Insomma, le grandi società premiano il background finance, ma solo se si è evoluto in chiave operativa. Certo che conciliare sviluppo e profitto non è la cosa più semplice. Potremmo dire, a grandi linee, che l'azionariato di un'azienda che tenda a conservare e preservare la situazione esistente preferirà affidarsi ad un CEO con una solida base amministrativa e l'azionariato di un'azienda che intende crescere e svilupparsi si affiderà ad un CEO con una più marcata preparazione commerciale. Molto si decide in base a cosa si è riusciti a costruire nell'azienda che deve scegliere il proprio CEO. Lo stesso studio già citato, ci dice che i tre quarti dei CEO sono scelti dall'interno delle aziende, quindi si tende a premiare la loro storia di successi raggiunti in seno all'organizzazione.  E il successo più facilmente identificabile è quello in ambito operativo, portato a compimento dal Chief Operating Officer (COO), dal Chief Commercial Officer (CCO) o dal Business Unit Director o President, che, magari, sono prima "cresciuti" in ambito amministrativo. Ricapitolando, il CEO "perfetto" ha iniziato la sua carriera in ambito amministrativo, ma NON è diventato CFO. E' stato successivamente promosso in una posizione operativa e lì ha dimostrato tutto il suo valore, per poi fare il grande salto. Giusto? Non proprio. Anne M. Mulcahy è stata la CEO di Xerox tra il 2001 e il 2009 portando l'azienda ad un grandioso recupero e ad un altrettanto straordinario rilancio. Nel 2008 è stata nominata CEO dell'anno dal Chief Executive Magazine. Sapete che lavoro aveva svolto sino a 20 anni prima? L'agente di commercio! Quindi vendite, altro che numeri.
La realtà è che la complessità della natura umana si riflette anche sulle nostre attività e sui ruoli che ci siamo inventati per governare le nostre cose. E tra questi ruoli, quello di CEO è certamente uno dei più complessi. Proviamo a disegnarlo insieme, partendo da come è fatto il nostro cervello.  La nostra parte sinistra è quella deputata al pensiero logico, razionale e analitico, insomma è la nostra parte CFO. E' una componente fondamentale, ci aiuta a stabilire se un'operazione è profittevole, se genera flussi di cassa e in che misura, circoscrive i problemi e cerca le soluzioni ad hoc per essi. Attraverso il nostro lato sinistro (CFO) siamo in grado di scomporre in passaggi i nostri business plan, quantificando il valore delle risorse necessarie per realizzarli e prevedendo i ritorni che è ragionevole attendersi. Ovviamente, questo è il lato che tende a non prendere rischi e ad attenersi ai dati esistenti, spingendo al minimo le proiezioni relative alla dimensione del "possibile". Ma noi stiamo progettando un CEO e, quindi, abbiamo bisogno anche di rischio e di "visione". Eccoci arrivati al lato destro del nostro cervello, quello dove risiedono immaginazione, creatività e intuito. Da qui si sviluppa l'intelligenza emotiva, la leadership di servizio, il problem solving, la comunicazione e la prospettiva di medio lungo termine. Un CEO che non sia dotato di creatività, senso del rischio e decision making è letteralmente un CEO a metà. Così come un CEO che difetti della sua parte sinistra, rappresenterebbe quasi certamente un disastro per gli stakeholders interni ed esterni. In azienda non esiste un ruolo nel quale ci si prepara per diventare CEO. Da qualunque area si parta, ci sarà sempre qualcosa da imparare. Quindi, numeri e vendite sono due componenti fondamentali del ruolo e non possono essere scisse. Un CEO ha certamente (?) educato sia la parte sinistra che la parte destra del suo cervello, perché è consapevole che il suo successo sarà anche il successo delle persone che lavorano ed interagiscono con l'azienda che dirige.